Ciao a tutte care amiche lettrici!
Oggi – grazie al cielo – non vi aspetta una recensione mediocre o negativa, bensì una recensione decisamente positiva, di cui avrei tanto da dire… eppure tutte noi sappiamo che i libri più belli sono quelli che ti lasciano senza parole, perchè nessuna parola potrebbe mai essere all’altezza delle emozioni provate durante il corso della lettura.
Mettetevi comode, ragazze, perchè sto parlando dell’ultimo e attesissimo capolavoro di Valentina D’Urbano: Non aspettare la notte.
TITOLO: Non aspettare la notte
AUTRICE: Valentina D’Urbano
GENERE: Narrativa contemporanea
CASA EDITRICE: Longanesi
PREZZO: eBook 9,99€
TRAMA: Giugno 1994. Roma sta per affrontare un’altra estate di turisti e afa quando ad Angelica viene offerta una via di fuga: la grande villa in campagna di suo nonno, a Borgo Gallico. Lì potrà riposarsi dagli studi di giurisprudenza. E potrà continuare a nascondersi. Perché a soli vent’anni Angelica è segnata dalla vita non soltanto nell’animo ma anche su tutto il corpo. Dopo l’incidente d’auto in cui sua madre è morta, Angelica infatti, pur essendo bellissima, è coperta da cicatrici. Per questo indossa sempre abiti lunghi e un cappello a tesa larga. Ma nessuno può nascondersi per sempre. A scoprirla sarà Tommaso, un ragazzo di Borgo Gallico che la incrocia per caso e che non riesce più a dimenticarla. Anche se non la può vedere bene, perché Tommaso ha una malattia degenerativa agli occhi e sono sempre più i giorni neri dei momenti di luce. Ma non importa, perché Tommaso ha una Polaroid, con cui può immortalare anche le cose che sul momento non vede, così da poterle riguardare quando recupera la vista. In quelle foto, Angelica è bellissima, senza cicatrici, e Tommaso se ne innamora. E con il suo amore e la sua allegria la coinvolge, nonostante le ritrosie. Ma proprio quando sembra che sia possibile non aspettare la notte, la notte li travolge…
È l’estate del 1994 quando Angelica lascia la città di Roma per trascorrere l’estate nella villa del nonno ormai defunto, situata in un piccolo paesino toscano di nome Borgo Gallico. Armata del suo cappello ampio che le copre alcune delle innumerevoli cicatrici che deturpano il suo corpo, Angelica si rintana in quella villa, lontana da occhi indiscreti, nascondendo le sue cicatrici.
Tommaso, al contempo, si sveglia al mattino e prima di aprire gli occhi spera di riuscire a vedere ancora qualcosa: quei lievi contorni, quelle fioche luci, quelle indistinte ombre che sono il suo unico contatto con il mondo esterno, l’appiglio a cui si aggrappa con tutte le sue forze per ignorare l’inevitabile: un giorno il buio totale gli si aprirà davanti inghiottendolo per sempre.
Due anime in cerca di serenità si stanno freneticamente, e forse, inconsapevolmente cercando, quando in realtà si sono trovati ben sedici anni prima. Difatti, Tommaso è quel bambino dai capelli ricci e scuri che giocava con Angelica nella sua villa, mentre sua madre finiva il turno delle pulizie presso la sontuosa ed impeccabile villa dei Gottardo, famiglia ricca e benestante di cui Angelica fa parte. Eppure quell’incontro non lascia alcun segno nelle vite dei nostri protagonisti, del resto, come potrebbe? Erano solo dei bambini che si intrattenevano insieme nella grande piscina della villa, del tutto ignari di quanto le loro vite sarebbero cambiate nel giro di qualche anno.
Angelica è solo una bambina quando sua madre cade nei profondi abissi della depressione. Quella donna bellissima, elegante e tanto amorevole, viene consumata da questa malattia che lentamente la rende brutta, vuota, impassibile. Eppure una notte, quando Angelica è solo una bambina indifesa, qualcosa si accende negli occhi di questa donna. Una scintilla inquietante riluce nei suoi occhi grandi e quasi gialli, gli stessi che Angelica sfoggia sul volto, quel chiaro segno di legame indissolubile che la genetica le ha rifilato. Nel cuore della notte sua madre la sveglia, vuole andare a fare una passeggiata, vuole prendere un po’ d’aria fresca. Angelica è turbata da quella improvvisa richiesta, oppone resistenza, eppure le manca tanto trascorrere del tempo con la sua mamma e fare ciò che per tutte le altre bambine è un meccanismo naturale quanto necessario. Un giro in macchina, uno soltanto. Angelica si addormenta, e l’unica cosa che sente prima di precipitare nel vuoto è la sua mamma che le dice:
Piccola mia. Mi devi perdonare.
Due mesi dopo, dopo due mesi di coma, Angelica si sveglia. Ma non è più la stessa. Quelle cicatrici per le quali ci sono voluti più di trecentosessanta punti hanno scavato in profondità dentro di lei, marchiando non solo il suo corpo, ma anche la sua anima. Quando torna a casa suo padre Enrico ha eliminato qualsiasi traccia di sua madre. Oggetti personali, fotografie, vestiti, non c’è nulla in quella casa che ricordi quella donna. La donna che ha scelto di morire e che voleva portare sua figlia con lei.
“La tua pelle… è rovinata, è vero. Non ti mentirò, non ti dirò che i tuoi segni non si notano […] Ma Angelica, c’è altro nella vita. Tu non sei le tue cicatrici“
Tommaso combatte contro le aspettative che i suoi genitori hanno riguardo la sua vita: deve iscriversi all’università. È sveglio, è intelligente, può farlo, deve farlo. Quell’umile famiglia di operai merita che qualcuno porti onore al loro cognome. Ma Tommaso si aspetta che loro capiscano. Si aspetta che loro capiscano che se uno non ci vede bene, anzi, non ci vede affatto, non può leggere tutti quei libri. Gli restano pochi anni prima che la sua malattia degenerativa gli rubi per sempre la vi(s)ta. Lo sta già facendo, lentamente, morbosamente, consuma la sua capacità visiva limitando i contorni, confondendo i colori, sbiadendo le immagini. Così sceglie di lavorare in un piccolo bar di paese, serve caffè ad oltranza ad una clientela in cui l’età media è di un pensionato che trascorre le sue giornate a giocare a carte, e va in giro con la sua fidata amica Polaroid, quella che quando non riesce a vedere bene, stampa un’immagine che potrà vedere dopo, quando la vista torna dopo il momento di buio, per poi riandarsene di nuovo.
Gli odori, i sapori, i rumori. Le cose che succedono fuori, nel mondo, quando una mattina ti svegli e improvvisamente scopri che il mondo è sparito.
Tommaso vive la vita con quella gioia dilagante e contagiosa che solo chi sa che un giorno il suo mondo diventerà buio può avere. Entra nella vita di Angelica guidato da un istinto inspiegabile, vorace, insaziabile. E non entra in punta di piedi, affatto. Entra nella sua vita accompagnato dal rombo assordante di quel catorcio di CIAO che si ritrova, quel motorino che si accende una volta sì e tre no, ma che è l’unico veicolo che può permettersi, dal momento che non può ottenere la patente a causa dei suoi problemi alla vista. Angelica, il cui mondo era ordinato, silenzioso e disabitato, si ritrova un ragazzo bello e statuario davanti, sempre pronto a scattarle foto mosso dal desiderio di vedere quella ragazza quando la sua vista vorrà. Angelica è spaventata, non vuole mostrarsi agli altri, e soprattutto, non a lui. Non a quel ragazzo che entrato nella sua vita con irruenza e prepotenza per stravolgere completamente il suo mondo. Perchè se quel ragazzo scappasse dalle imperfezioni del suo corpo, non potrebbe sopportarlo. Ma Tommaso non la vede con gli occhi. La vede con il naso, che inspira profondamente il suo dolce profumo. La vede con le orecchie, che adorano sentirla leggere ad alta voce con quella sua voce così armoniosa. La vede con il cuore, che si sente così indistricabilmente legato a quello di lei. E quando la vede con gli occhi… scopre di amarla ancora di più:
Angelica si volta, cerca di coprirsi le parti peggiori, ma ogni volta che lo fa lui le scosta piano le mani e bacia i solchi, le linee sottili dei punti di sutura, i buchi e i rilievi, e non la tocca mai dove è liscia e sana perchè in quei punti è come le altre, mentre tutto il suo essere, tutte le sue paure e le sue lotte, l’essenza stessa di lei, stanno lì, dentro le sue ferite. “Sei bella, sei bellissima, non ti coprire.”
Eppure quell’amore che nasce d’estate pare andare a passo con il tempo. E quando l’estate finisce, quell’estate perfetta in cui Angelica ha imparato ad amare non solo un uomo, ma anche se stessa, pare correre troppo in fretta, e sembra voglia dissipare le speranza pazientemente alimentate fino a quel momento. Perchè quando l’amore è giovane e forte, può combattere contro uno dei più acerrimi nemici dell’amore: la distanza, quella lontananza maledetta che ostacola l’amore, ma non il vero amore.
Si baciano ancora e ancora. Sanno che l’estate è finita, sanno che arriverà l’inverno, che si amano, che troveranno il modo di stare insieme, di rivedersi. Gli basta questo.
A questo punto spetta a voi scoprire come l’impetuoso amore di Angelica e Tommaso evolverà. Spetta a voi scoprire quanto influiranno le cicatrici di lei e la quasi cecità di lui. Come si annoderanno il dolore del passato di lei, e la paura del futuro di lui. Spetta a voi addentrarvi in questa storia, immergervi in quello che ho tutta la presunzione di definire un vero e proprio capolavoro letterario.
La storia è magica, perfetta, si trascina cupamente perchè il lettore è costantemente accompagnato da un brutto presentimento che ha paura di verificare con l’avanzare imperterrito degli eventi. Lo stile, poi, è in completa sintonia e armonia con le vicende narrate. Forma e contenuto si sposano alla perfezione, convogliando in un lavoro a dir poco perfetto. La D’Urbano si afferma a gran voce come una delle autrici italiane migliori del momento. Ho trovato ideale il narratore esterno e l’uso della terza persona, perchè è riuscita a dar voce ad altri personaggi marginali che però hanno tanto da raccontare. Ho apprezzato diversi personaggi nel corso della lettura che sono stati indispensabili per la crescita e per il superamento del trauma sviluppati da Angelica. Stile impeccabile non solo nella tecnica, ma anche nella capacità di trasmettere sensazioni, emozioni, brividi, spunti di riflessione. Ci sono state scene che mi hanno fatto entrare nella testa di Tommaso, e l’amara consapevolezza con cui trascina la sua vita cercando sempre una ragione per resistere e sorridere è il messaggio più prezioso che questo libro possa trasmettere. Le ferite, le cicatrici, i lividi di Angelica sono un impedimento per lei, una maschera di dolore visibile a tutti, che la rende oggetto di sguardi compassionevoli. Le cicatrici restano sul corpo, lo marchiano, ma restano lì al loro posto, ferme e immobili, guarite e indolori. Ma l’handicap con cui Tommaso fa i conti ogni giorno è come un fuoco che ti consuma a poco a poco, una viscida premonizione di quello che accadrà, un orripilante anticipo delle tenebre che nel giro di qualche anno caleranno nella sua vita. Un buio profondo da cui non potrà mai risalire se non grazie al ricordo di ciò che – in maniera sbiadita e poco nitida – è comunque riuscito a scorgere nel mondo.
In conclusione, vi lascio con un’altra citazione indimenticabile. Ne avrei a bizzeffe, ma mi sono trattenuta. Trovo che queste parole siano l’emblema di questa meravigliosa e toccante storia d’amore.
Non ti innamori delle cose perfette, senza segni. Le cose perfette sono di tutti.
Ti innamori delle zone d’ombra, delle crepe, delle storture che vedi e senti dentro, che ti appartengono.
Ti innamori di chi è riuscito a sopravvivere.
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