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Ilaria Rodella

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“Novecento” di Alessandro Baricco: dal romanzo al film.

Books Music

Aprile 20, 2018

A voler essere precisi, Novecento non esisteva nemmeno, per il mondo: non c’era città, parrocchia, ospedale, galera, squadra di baseball che avesse scritto da qualche parte il suo nome. Non aveva patria, non aveva data di nascita, non aveva famiglia. Aveva otto anni: ma ufficialmente non era mai nato.

Buongiorno fanciulle, oggi voglio parlarvi di un libro un po’ datato ma che, a mio parere, è uno di quei capolavori letterari che meritano di trovarsi nelle menti e nei cuori di tutti noi italiani.

Sto parlando di “NOVECENTO” di Alessandro Baricco.

Titolo: Novecento

Autore: Alessandro Baricco

Editore: Feltrinelli

Collana: Universale Economica

Anno edizione: 2013

Genere Letterario: Monologo

Pagine: 62

Trama: Il “Virginian” era un piroscafo. Negli anni tra le due guerre faceva la spola tra Europa e America, con il suo carico di miliardari, di emigranti e di gente qualsiasi. Dicono che sul Virginian si esibisse ogni sera un pianista straordinario, dalla tecnica strabiliante, capace di suonare una musica mai sentita prima, meravigliosa. Dicono che la sua storia fosse pazzesca, che fosse nato su quella nave e che da lì non fosse mai sceso. Dicono che nessuno sapesse il perché.

Novecento è la prova di come, bellezza e intensità, si possano ritrovare anche in così poche pagine. Precisamente 62.

62 pagine che si leggono in un soffio. 62 pagine di poesia e musicalità.

62 pagine che quando finiscono ti lasciano il dispiacere di averlo letto così in fretta.

Un monologo che sembra musica, che sembrano note, che sembra poesia.

Novecento lo si può solo amare, dimostrando che non sempre abbiamo bisogno dei cosiddetti “mattoni” da 500 pagine per poterci commuovere e per toccarci l’anima, ma che possiamo trovare una storia ricca di messaggi e significati anche in poche pagine, e scoprirne così un piccolo grande capolavoro.

Questo libro così piccolo ha la capacità di catapultarti letteralmente sul Virginian e di lasciarti cullare dalle onde dell’Oceano e dalle note del pianoforte di Novecento.

Eh sì perché è così che si chiama il protagonista di questo meraviglioso monologo: Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento. Un nome lungo e inusuale. Ma leggendo questo esile volumetto vi renderete conto che in realtà Novecento, di inusuale, non aveva soltanto il nome!

 “Novecento, tutto questo è assolutamente contrario al regolamento”.

Novecento smise di suonare. Era un ragazzino di poche parole e di grande capacità di apprendimento. Guardò con dolcezza il comandante e disse:

“In culo il regolamento.”

Dotato di grande intelligenza, perspicacia e un ottimo senso dell’umorismo. Novecento coltiva la meravigliosa arte dello stupirsi di fronte alle cose più semplici, come solo un bambino riesce a fare. Ma è anche un uomo maturo con dei grandi insegnamenti sulla vita che ti fanno apprezzare ancora di più questo personaggio così singolare.

Sapeva leggere. Non i libri, quelli son buoni tutti, sapeva leggere la gente. I segni che la gente si porta addosso: posti, rumori, odori, la loro terra, la loro storia… Tutta scritta, addosso. Lui leggeva, e con cura infinita, catalogava, sistemava, ordinava.

Novecento però è anche un pianista, ma non un pianista comune, è un pianista di jazz, che suona il pianoforte come se fosse un’estensione del proprio corpo, della propria anima, riuscendo a creare melodie uniche e irripetibili, in grado di sconvolgere e sorprendere tutti i passeggeri Virginian e, in particolar modo, il suo amico trombettista, e narratore della storia, Tim Tooney.

Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi suonare. Loro sono 88, tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai, e questa è la verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita… Se quella tastiera è infinita, allora su quella tastiera non c’è musica che puoi suonare. Tu sei seduto sul seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio. Cristo, ma le vedevi le strade? Anche solo le strade. Ce n’è a migliaia, come fate voi laggiù a sceglierne una, a scegliere una donna, una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire. Tutto quel mondo, quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce e quanto ce n’è. Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell’enormità, solo a pensarla?

Ma la cosa più strana di questo racconto, non è il nome bizzarro del protagonista, o il fatto che suoni il pianoforte come nessuno mai l’ha suonato prima.

La cosa più strana è che Novecento, da quando è nato, non è mai sceso dal Virginian!!

Il mondo magari non l’aveva visto mai. Ma erano 27 anni che il mondo passava su quella nave: ed erano 27 anni che lui, su quella nave, lo spiava. E gli rubava l’anima.

Penso che questo sia davvero uno di quei libri che, se non lo avete ancora letto, dovete assolutamente recuperare, magari con in sottofondo la colonna sonora di Ennio Morricone del film “il pianista sull’oceano” tratto proprio da questo romanzo, che vi suggerisco di andare a vedere, dopo aver ovviamente prima letto il libro, perché è fatto davvero, davvero molto bene.

Detto ciò vi lascio con una delle frasi, secondo me, più belle, contenute in questa piccola grande meraviglia, e che spero vi invogli a leggerlo il prima possibile.

Fatemi sapere se vi ho convinti o se, per caso, lo avete già letto.

Ci vediamo la settimana prossima dove dedicherò un dolce proprio a questo meraviglioso romanzo!

Un bacione grande

Camilla.

A me m’ha sempre colpito questa faccenda dei quadri. Stanno su per anni, poi senza che accada nulla, ma nulla dico, fran, giù, cadono. Stanno lì attaccati al chiodo, nessuno gli fa niente, ma loro a un certo punto, fran, cadono giù, come sassi. Nel silenzio più assoluto, con tutto immobile intorno, non una mosca che vola, e loro, fran. Non c’è una ragione. Perché proprio in quell’istante? Non si sa. Fran. Cos’è che succede a un chiodo per farlo decidere che non ne può più? C’ha un’anima, anche lui, poveretto? Prende delle decisioni? Ne ha discusso a lungo col quadro, erano incerti sul da farsi, ne parlavano tutte le sere, da anni, poi hanno deciso una data, un’ora, un minuto, un istante, è quello, fran. O lo sapevano già dall’inizio, i due, era già tutto combinato, guarda io mollo tutto tra sette anni, per me va bene, okay allora intesi per il 13 maggio, okay, verso le sei, facciamo sei meno un quarto, d’accordo, allora buonanotte, ‘notte. Sette anni dopo, 13 maggio, sei meno un quarto, fran.
Non si capisce. È una di quelle cose che è meglio che non ci pensi, se no ci esci matto. Quando cade un quadro. Quando ti svegli un mattino, e non la ami più. Quando apri il giornale e leggi che è scoppiata la guerra. Quando vedi un treno e pensi io devo andarmene da qui. Quando ti guardi allo specchio e ti accorgi che sei vecchio. Quando, in mezzo all’Oceano, Novecento alzò lo sguardo dal piatto e mi disse: “A New York, fra tre giorni, io scenderò da questa nave”. Ci rimasi secco. Fran.

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